Stati emotivi/cognitivi e dolore cronico
Ognuno di noi ha familiarità con l'esperienza del dolore. Nonostante l'intensità e la qualità del dolore possano essere molto variabili nella nostra vita quotidiana (pungente o bruciante, acuto o martellante), il dolore resta spesso ugualmente preoccupante nel nostro vissuto emotivo e cognitivo. Infatti, sebbene la funzione del sistema nocicettivo sia quella di avvisarci che un qualcosa di anomalo e potenzialmente dannoso si sta producendo da qualche parte nel nostro organismo, può succedere che questo utile sistema di segnalazione venga alterato da fattori contestuali, psicologici e di personalità, che possono contribuire a peggiorare o migliorare la nostra esperienza dolorosa.
La comunità scientifica ha raggiunto ormai un ampio consenso nell'interpretare il dolore come un'esperienza multidimensionale in cui una componente prettamente sensoriale comunica in modo bidirezionale con una componente emotiva-cognitiva. Questi aspetti qualitativamente distinti della sensazione e dell'esperienza vedono la partecipazione di diverse strutture cerebrali che lavorano di concerto per rappresentare informazioni su quanto sia forte o localizzata una determinata sensazione (quantità), ma anche su quanto l'esperienza possa essere disturbante o, al contrario, trascurabile rispetto alle aspettative (qualità).
Un ruolo fondamentale nel determinare la nostra esperienza dolorosa lo gioca la motivazione che abbiamo nel portare a termine un obiettivo. Pensiamo a quante volte facendo uno sforzo fisico sopportiamo il dolore perché funzionale a uno scopo, come portare i bambini a letto, rispettare una scadenza o praticare trattamenti estetici. Insieme alla motivazione è il più generale stato emotivo che può alterare significativamente la nostra esperienza percettiva dell'evento doloroso.
A livello cerebrale c'è una forte interazione tra le aree che processano gli stimoli dolorosi e quelle che elaborano le emozioni. Grazie allo studio di queste complesse interazioni siamo oggi in grado di capire come mai, per esempio, avere un umore irato, depresso o ansioso può ridurre la nostra capacità di sopportazione dell'evento doloroso e aumentare la nostra sofferenza e frustrazione; mentre, al contrario, quando ci sentiamo felici possiamo percepire il dolore come meno intenso o reagire meglio ad esso.
Il modo in cui ciascuno di noi vive le emozioni ha un forte impatto sull'organismo e sulla salute e spesso un vissuto emotivo molto intenso si associa proprio a sintomi dolorosi, basti pensare ai dolori di natura psicosomatica e psicogena da cui molte persone sono colpite.
Un aspetto altrettanto complesso è però il modo in cui il dolore diventa un vissuto emotivo, e lo è maggiormente se si pensa all'esperienza del dolore cronico. Le emozioni maggiormente associate all'esperienza del dolore cronico sono la rabbia e la paura, spesso determinate dalla durata eccessiva del fastidio o dall'anticipazione del disagio associato all'interruzione delle nostre normali attività quotidiane. Infatti, spesso il dolore può raggiungere una tale intensità e costanza da non poter far altro che abbandonare ogni attività, immobilizzarci a letto e rimanere in uno stato di depressione.
È ormai nota l'intima relazione tra una condizione di umore depresso e il dolore. Questa stretta relazione di mutuo rinforzo (il dolore deprime l'individuo e la depressione intensifica il dolore) è esacerbata nel contesto delle condizioni di dolore cronico.
Quando il dolore perde completamente la sua funzione protettiva e persiste anche molto al di là dell'effettiva rimozione dello stimolo che lo ha causato, allora ci troviamo di fronte all'incapacità di far fronte all'esperienza mentale ed emotiva che si abbatte su di noi. I pazienti con dolore cronico hanno tre volte in più la probabilità di sviluppare sintomi psichiatrici rispetto alla media della popolazione sana (tra cui appunto disturbi legati all'umore o all'ansia), mentre i pazienti depressi hanno la stessa probabilità di sviluppare a loro volta una condizione di dolore cronico.
Purtroppo, l'interazione tra emozioni e dolore può contribuire al ritiro sociale dei pazienti, che spesso subiscono un calo della motivazione e dell'interesse verso le normali attività quotidiane, un processo che porta l'individuo emotivamente afflitto dalla patologia ad arrendersi alla propria condizione e ad evitare comportamenti o circostanze che potrebbero migliorare la condizione di salute.
Eia Valentini
Dipartimento di Psicologia, Sapienza Università di Roma