Oppioidi sì oppioidi no: “that is the question.” Tre importanti messaggi per una buona cura
Oppioidi sì oppioidi no: “that is the question.”
Tre importanti messaggi per una buona cura
L'intervista con un grande esperto mette in luce degli aspetti cruciali sul grande tema dell'opioid addiction, tema molto dibattuto in questo periodo. L'abbiamo letta e commentata per voi.
Il numero di dicembre di Pain Medicine News pubblica l'intervista a Daniel P. Alford, Professore Associato di Medicina, presso la Facoltà di Medicina della Boston University. Alford mette subito in evidenza che si tratta di un argomento da trattare con la dovuta cautela e chiarisce che non si può guardare ad esso solo con gli occhi dell'esperto in tossicodipenze o del MMG o del terapista del dolore e riferisce della sua personale esperienza, inizialmente come MMG e poi in un SERT, per trattare i tossicodipendenti.
La sua esperienza non è di poco conto, avendo prima visto malati che lo consultavano per farsi prescrivere gli oppioidi e poi tossicodipendenti che volevano essere disintossicati. In un ipotetico dialogo con un tossicodipendente si chiede: "Come posso prevenire ciò che ti è accaduto, e come posso evitare che accada ai miei pazienti a cui prescrivo oppioidi contro il dolore?"; la risposta, dice, può essere solo questa: "Non prescrivere mai questi farmaci; sono terribili, e possono solo causare problemi". Riflette poi sul fatto che un clinico competente e coscienzioso, con una visione ampia, si pone il problema dell'esistenza di una classe di farmaci che aiuta moltissimo alcune persone ed è dannosa per altri, e si chiede come poter uscire da questo dilemma.
Anche noi riteniamo che questo è sempre il quesito che si trovano ad affrontare i clinici coscienziosi, quando prescrivono farmaci davvero efficaci che, per definizione, hanno necessariamente altrettanti deleteri effetti collaterali e potenziali complicanze. Difficile ritenere che si possa prescrivere l'insulina ad un diabetico non pensando che il malato può, per errore, morire per una dose eccessiva.
Alla domanda se ci sia la necessità di nuove molecole o di presidi che prevengano l'abuso o il misuso di oppioidi, il prof. Alford risponde con una interessante riflessione. In particolare mette in luce che non sarà la scoperta di nuovi farmaci analgesici o l'introduzione di presidi atti a prevenire l'abuso di oppioidi che risolverà il problema del dolore. A suo avviso la situazione resterà invariata se non si comprenderà che il dolore cronico non può essere trattato come il dolore acuto, essendo esso stesso una patologia cronica. Come tale ha bisogno di trattamento multimodale e multispecialistico. Questo pone vari problemi, incluso lo spinoso tema del rimborso delle cure, che non può differire da quello di tutte le altre patologie croniche.
E riteniamo che abbia ragione. Ci meravigliamo, anzi, che molta dell'attenzione della letteratura sia ora concentrata su un potenziale, possibile effetto collaterale conseguente alla somministrazione di una classe di farmaci, perdendo di vista gli interessi del malato con dolore cronico. Su questo ci si dovrebbe indirizzare, evitando slogan e luoghi comuni, o il passivo riferimento a dati che neppure sono stati esaminati con attenzione.
Secondo Alford efficacia e sicurezza degli oppiacei sono stati ancora poco studiati, e non saranno certo le innumerevoli linee guida prodotte dalle varie associazioni scientifiche (quasi tutte ripetitive) a modificare il problema. Purtroppo, anche in queste si commette sempre lo stesso errore. Molti degli articoli pubblicati anche con altissimo impatto concludono che c'è una mancanza di evidenza. Lui direbbe, piuttosto, che la mancanza di evidenza non può significare necessariamente che ci sia evidenza della mancanza di effetti. Non essendo stato studiato a fondo il tema, ci sarebbe piuttosto, la necessità di avere dati più consistenti e meno generici. In particolare, trova criticabile che molti di coloro che vorrebbero bandire gli oppioidi dalla farmacopea per i malati con dolore cronico siano esperti in tossicodipendenze, che hanno una chiara visione distorta del problema, a causa della loro professione di tutti i giorni, o "terapisti del dolore", a cui alcuni pazienti riferiscono di non aver avuto alcun beneficio, con l'uso degli oppioidi. Questa classe di farmaci deve essere considerata uno strumento potente nelle mani di persone competenti, che sappiano quando, come e su chi usarli.
Anche questa affermazione ci trova molto d'accordo. Gli oppioidi non sono una sostanza miracolosa che guarisce il paziente al solo contatto. L'importante è sempre il malato, la sua predisposizione all'uso di sostanze potenti, la cura che noi medici gli dedichiamo, l'attenzione che poniamo verso il bilanciamento fra efficacia e tossicità per ogni farmaco che prescriviamo, che è sempre diverso da caso a caso.
L'intervista continua con il richiamo, da parte di Alford, alla necessità di un maggiore equilibrio nel trattare l'argomento. In particolare sostiene che il pendolo ha oscillato troppo da una parte, diventando i clinici troppo "oppioidocentrici" (negli USA, ndr) nel trattamento del dolore cronico, e rischia, ora, di oscillare troppo dall'altra, facendo scomparire di nuovo dalla faretra del buon medico gli oppioidi, farmaci che sono molto utili per molti malati, se usati in modo scientifico e competente. Molte regole e divieti, originati da intenzioni positive, possono avere conseguenze inattese, rendendo difficile l'accesso agli oppioidi da parte dei malati, cosa che potrebbe risultare deleteria.
Questo rischio è chiaramente avvertito anche in Italia e nel resto d'Europa, e si comincia già ad avere qualche prodromo, anche se l'abuso riportato negli USA non è ancora presente in Europa. Di fatto, come già da noi suggerito in altra sede, i molti "rumours" su questo argomento stanno già causando delle reazioni scoordinate, che potrebbero portare nella direzione di ritornare alle antiche modalità prescrittive degli oppioidi, se non peggio.
Tre messaggi importanti
Nel prescrivere gli oppioidi, il clinico non dovrebbe mai dimenticare che c'è sempre il rischio di un loro uso aberrante. Dovrebbe quindi, prudentemente, cercare di stratificare il rischio per quel paziente specifico, sulla base di precedente storia di abuso, malattie mentali, storie legali, ecc., a prescindere dal rischio generico che si corre con ogni altro farmaco.
Ogni prescrizione deve essere fatta in un'ottica di precisa valutazione rischio/beneficio. Dopo la prima prescrizione, prima di cambiare regime terapeutico con incremento di dose o di riprescrivere lo stesso farmaco alla stessa dose, il paziente deve essere rivalutato, nella ottica del rapporto sopra indicato. In sintesi, ogni volta che si prescrive un oppioide, il medico deve essere convinto che i benefici che il malato ne otterrà, o ne ha già ottenuti, siano superiori al rischio che ne possa essere danneggiato.
Ultimo ma non ultimo, il medico dovrebbe sempre considerare che se il malato sta ottenendo dei benefici il farmaco può essere prudentemente riprescritto ma, se ne sta avendo dei danni, la prescrizione va interrotta immediatamente. E quando si interrompe la prescrizione di oppioidi, bisogna sempre pensare che non si sta abbandonando il malato; il medico sta abbandonando un farmaco inefficace o dannoso; e comunque sta continuando a curare quel malato. Infatti, ciò che è in discussione è il trattamento, non il malato. A volte i malati lasciano il proprio medico curante perché non sono d'accordo sulle sue decisioni di interrompere la somministrazione di oppioidi ma il medico non li sta abbandonando. Questi, secondo Alford, sono i punti chiave che non dovrebbero mai essere dimenticati.
Come non convenire sulla saggezza di queste affermazioni? Un buon medico deve sempre e solo pensare a cosa è meglio per il suo malato, anche quando il malato non è d'accordo e pretende di avere farmaci che non sono esattamente per il suo bene. Questo è il grande messaggio che nessuno fra coloro che hanno dedicato la loro vita alla salute degli altri dovrebbe mai dimenticare, soprattutto quando si parla di farmaci che potrebbero risultare dannosi più che vantaggiosi, se non prescritti con le modalità opportune.
Giustino Varrassi e Antonella Paladini