Una goccia di saggezza in un oceano di confondenti verità
Una goccia di saggezza in un oceano di confondenti verità
Le mie opinioni sull'approccio americano al grande tema della prescrizione degli oppioidi e della loro pericolosità, in termini di salute pubblica, le ho sempre chiaramente espresse senza mezzi termini.
Di fatto, in un mondo che vive del grande sogno del "dio dollaro" si ha la indispensabilità di fornire notizie shocking per attrarre l'attenzione del potenziale "cliente" dall'una o dall'altra parte. Quando si tratta di grossi (e serissimi) temi attinenti alla salute pubblica, però, questo dovrebbe essere limitato e, comunque, dovrebbe essere valutato con attenzione e trasparenza dalle Autorità che vengono finanziate dalle tasse dei Contribuenti. Questo è il grande tema che Michael Schatman e Stephen Ziegler trattano in un loro pregevolissimo Editoriale che è stato appena pubblicato sul Journal of Pain Research.
Non si può negare che anche in questo caso gli Americani abbiano colto al volo la ghiotta occasione di "fare notizia". Per cui, come ci dicono gli Autori, il grande tema della "epidemia da oppioidi", trattato con leggerezza e superficialità (quasi colpevole) ha conquistato la scena della stampa scientifica e dei media, in una combinazione tanto "virale" quanto pericolosa. Ora i due Autori cercano di dipanare la matassa e iniziare a fare un po' di chiarezza sull'argomento, soprattutto mettendo in luce alcuni aspetti che confondono il lettore che sia distratto o poco informato dei dettagli.
Il loro richiamo a quanto detto da Mark Twain ("Ci sono bugie, maledette bugie e da ultimo ci sono le statistiche") ci dà un input iniziale per leggere con attenzione quanto da loro scritto. Sicuramente una lettura attenta dei numeri può sempre essere di aiuto nel dirimere le mele dalle arance, piuttosto che parlare in modo superficiale e confondente di frutta. Quindi, specialmente quando si parla di temi che coinvolgono la salute pubblica o le situazioni che potrebbero generare allarme nella popolazione, si dovrebbe poter contare sulla assoluta mancanza di bias nelle notizie che vengono ammannite al grande pubblico, e soprattutto di dovrebbe contare su di una informazione e un'analisi trasparente dei numeri da parte di chi viene pagato per curare la buona salute della popolazione.
Secondo gli Autori, il Centro per il Controllo delle Malattie (CDC) americano non pare abbia operato con ineccepibile trasparenza e professionalità, in particolare non sembra aver fornito le informazioni giuste per comprendere al meglio il problema. Nell'ambito del CDC, istituzione pubblica e di pubblico interesse, sembra si sia spesso operato in modo poco chiaro a proposito del tema de quo, non tenendo conto che ci sono negli USA (e nel mondo) diverse centinaia di milioni di cittadini con dolore acuto e cronico e che necessitano di cure. Mi auguro che nessuno voglia mettere in dubbio l'assoluta necessità di curarli, per dare loro una qualità di vita migliore e una funzionalità utile per sé stessi e per la società che li circonda. Mescolare le sorti di quei cittadini bisognosi di terapie, privandoli del rimedio farmacologico spesso più efficace e certamente più potente (gli oppioidi), con quelle di una fetta di società il cui cervello ha la genetica e la necessità di essere addicted a qualcosa (farmaci, gioco, alcol, ecc.) non sembra la migliore mossa per gestire la salute pubblica. Infatti, dai dati che emergono dall'Editoriale, il grande allarmismo americano sull'uso inappropriato di oppioidi sembra dominato da una grande confusione su due aspetti: 1. confusione sulle origini della risorgente epidemia di opioid addiction da eroina, senza distinzione tra abuso da farmaci regolarmente prescritti e farmaci illegalmente acquisiti nel mercato illegale (nel caso del fentanyl, sembra che il rapporto fra i due sia 5% e 95%, rispettivamente); 2. confusione generata dal voler etichettare ogni morte da abuso come dovuta a oppioidi, anche se nel sangue del deceduto si reperiscono enormi quantità di altri farmaci psicoattivi e minime tracce di oppioidi.
In sintesi, pare sia arrivato il momento di cominciare a fare chiarezza sull'argomento, basandosi su dati scientifici inoppugnabili ed evitando di "fare di tutt'erba un fascio", un atteggiamento che potrebbe risultare irresponsabile e far ritornare la Medicina del Dolore a un'epoca non lontana (e certo non dimenticata dal sottoscritto) quando i medici che prescrivevano un oppioide a un loro malato con dolore, magari terminale, erano ritenuti una sorta di pusher e, comunque, venivano additati da chi in nessuna considerazione teneva le sofferenze, spesso terribili, dei pazienti sofferenti.
Per certo, è arrivato il momento in cui, oltre ad acquisire la nozione che gli oppioidi sono farmaci potenti e certamente utili (in alcuni casi indispensabili), va chiarito il loro reale ruolo nella terapia del dolore e vanno insegnati a medici e malati pregi e difetti di una classe farmacologica che va usata con estrema competenza e attenzione, come è proprio di tutti i farmaci molto potenti e efficaci.
Il pericolo non sta nei farmaci ma nel come li si usa.
Giustino Varrassi
25 ottobre 2017